Regionali, Pucciarelli: “La vittoria di Fico che non rassicura”
A distanza di una settimana, c’è una frase che si ripete spesso dopo le elezioni regionali in Campania del 2025: “Ha vinto Roberto Fico”. È vera, inequivocabile. Ma come spesso accade nella politica meridionale, la verità formale non coincide con la verità sostanziale.
Sì, Fico ha vinto e ha vinto bene. Ma ciò che è accaduto sotto la superficie del voto è molto più importante del trionfo ufficiale.
Perché la Campania che esce dalle urne non è la regione monolitica che molti immaginavano. Non è più quella del 2020, dove Vincenzo De Luca dominava con percentuali da plebiscito e un centrosinistra così compatto da sembrare inattaccabile. Il 2025, invece, consegna una fotografia politica piena di contraddizioni: il centrosinistra resta al governo, ma l’opposizione cresce più di quanto il risultato finale possa lasciare intuire. E questo dovrebbe far riflettere chi oggi festeggia.
Si parla ovunque di “vittoria larga”. È vero. Ma è altrettanto vero che quella vittoria è frutto soprattutto della figura personale di Roberto Fico, non della tenuta strutturale del suo schieramento.
Il centrosinistra, nelle sue componenti storiche, mostra segnali di logoramento: cala il peso delle liste tradizionali, aumentano le civiche, crescono le aree minoritarie come AVS, il M5S non sembra più in grado di trascinare, ma solo di accompagnare.
Questo non toglie meriti a Fico: li aggiunge. Ma pone una domanda inevitabile: cosa rimane se si toglie la leadership del presidente? Il 2020 aveva un sistema di potere solido. Il 2025 ha un presidente forte ma un sistema fragile.
C’è un dato che sta passando sottotraccia: Fratelli d’Italia e Forza Italia raddoppiano quasi i consensi rispetto al 2020. E questo non è un fenomeno locale, non è un accidente statistico. È la prova che una parte dell’elettorato campano — quello moderato, quello delle aree interne, quello scontento ma non populista — si è rimessa in movimento. È un’onda lunga, lenta ma costante.
E chi conosce la politica del Sud sa che quando il voto moderato comincia a risvegliarsi, il cambiamento arriva sempre qualche anno dopo, ma arriva. Se fossi nei vertici del centrosinistra campano, non snobberei questi numeri. La storia politica di questa regione lo insegna: quando l’opposizione sembra debole, spesso è solo in incubazione.
Il dato più importante non è né la vittoria di Fico né il balzo dell’opposizione. Il dato più importante è la fine della Campania “prevedibile”.
Le elezioni del 2025 ci restituiscono una regione che si sta rimescolando: non più blindata da un fronte progressista invincibile, non più schiacciata in un bipolarismo finto, non più dominata da una sola figura carismatica, ma aperta, incerta, contendibile. È una novità politica enorme, e va oltre i confini della regione.
Ci sono tre strade davanti alla Campania, e nessuna è già scritta: può consolidarsi la leadership di Fico, può emergere un centrodestra competitivo come non lo è mai stato negli ultimi dieci anni, oppure può esplodere un sistema civico frammentato che porterà a una politica più locale, meno ideologica, più imprevedibile.
Quale sarà lo scenario reale nel 2027 dipenderà da due fattori: la capacità del centrosinistra di trasformare la vittoria personale di Fico in una vittoria politica duratura e la capacità del centrodestra di non disperdere il capitale di consenso che oggi, per la prima volta dopo anni, sembra davvero avere tra le mani.
Fico vince, ma non trionfa. L’opposizione perde, ma avanza. Il centrosinistra governa, ma non rassicura. Il centrodestra sfida, ma non sfonda. Il voto civico cresce, ma non domina.
È questa la vera fotografia della Campania 2025, un equilibrio instabile, un territorio che cambia pelle, una regione che ha smesso di essere scontata.
E forse, proprio in questa instabilità, si nasconde la nuova normalità della politica campana. Una normalità dove nessuno può più considerarsi intoccabile. E dove anche le vittorie più larghe diventano, in fondo, solo un punto di partenza.
Riccardo Pucciarelli





